IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO 
                       REGIONALE PER IL LAZIO 
                          Sezione Prima Ter 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro  generale  3514  del  2017,  proposto  da   Luigi   Dimitri,
rappresentato  e  difeso  dall'avvocato  Gianluigi  Pellegrino,   con
domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso del Rinascimento
n. 11; 
    Contro 
    C.O.N.I. - Comitato Olimpico Nazionale Italiano, in  persona  del
legale rappresentante  p.t.,  rappresentato  e  difeso  dall'avvocato
Sergio Fidanzia, con domicilio eletto presso il suo studio  in  Roma,
via Giovanni Antonelli, n. 4; 
    F.I.G.C. - Federazione Italiana Giuoco  Calcio,  in  persona  del
legale rappresentante p.t., rappresentata  e  difesa  dagli  avvocati
Luigi Medugno, Letizia Mazzarelli, con  domicilio  eletto  presso  il
loro studio in Roma, via Panama, n. 58; 
    Collegio di Garanzia dello Sport, non costituito in giudizio; 
    Per l'annullamento previa sospensione dell'efficacia: 
        del provvedimento n. 14, pubblicato in data 14 febbraio 2017,
di cui al prot. n. 00114/2017, con cui il Collegio di Garanzia  dello
Sport in Sezioni Unite ha respinto il ricorso  avverso  la  decisione
della Corte Federale d'Appello della F.I.G.C., pubblicata con C.U. n.
067/CFA del 5 ottobre 2016, che ha irrogato al ricorrente la sanzione
della inibizione per anni tre; 
        di ogni  altro  atto  presupposto,  connesso,  collegato  e/o
consequenziale; nonche'  per  il  risarcimento  dei  danni  patiti  e
patendi dal ricorrente a causa dei suindicati provvedimenti. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visti gli  atti  di  costituzione  in  giudizio  del  C.O.N.I.  -
Comitato Olimpico Nazionale Italiano e della F.I.G.C.  -  Federazione
Italiana Giuoco Calcio; Relatore nell'udienza pubblica del giorno  18
luglio 2017 la dott.ssa Francesca Romano  e  uditi  per  le  parti  i
difensori come specificato nel verbale; 
    Ritenuto in fatto e diritto quanto segue 
 
                                Fatto 
 
    1. Il sig. Luigi  Dimitri,  dirigente  sportivo  tesserato  della
F.I.G.C., ha adito questo Tribunale per ottenere  l'annullamento  del
provvedimento n. 14 del 14 febbraio  2017  con  cui  il  Collegio  di
Garanzia dello Sport ha confermato l'irrogazione nei  suoi  confronti
della sanzione disciplinare della inibizione per tre  anni,  disposta
dalla Corte Federale d'Appello  con  decisione  del  5  ottobre  2016
nonche' il risarcimento dei danni in conseguenza patiti. 
    2. Avverso la decisione  dell'organo  di  giustizia  sportiva  di
ultima  istanza,  il  ricorrente  deduce,  quale  unico   motivo   di
illegittimita', la  manifesta  violazione  dell'art.  34-bis,  codice
giustizia sportiva F.I.G.C. (di seguito c.g.s. FIGC). 
    Senza, dunque, entrare nel merito dei fatti che  hanno  originato
il procedimento disciplinare di cui in causa, le doglianze  di  parte
ricorrente si appuntano esclusivamente sulla violazione  delle  norme
procedurali dettate dal codice della giustizia sportiva  FIGC  per  i
giudizi disciplinari. Il vizio di legittimita', piu' in  particolare,
inficerebbe in modo radicale l'atto impugnato, perche' il Collegio di
Garanzia ha ritenuto di non dover dichiarare estinto il  procedimento
disciplinare  a  carico  del  ricorrente,  nonostante   l'intervenuto
spirare del termine perentorio previsto dalla suddetta norma  per  la
pronuncia della decisione disciplinare di secondo grado. 
    Il sig. Dimitri espone, infatti: 
        di aver proposto appello avverso la decisione  del  Tribunale
Federale Nazionale del 20 luglio 2016,  che  aveva  lui  inflitto  la
sanzione disciplinare dell'inibizione per 3 anni e 6 mesi e l'ammenda
di € 60.000, con atto di reclamo del 26 luglio 2016; 
        la  Corte  Federale  d'Appello  ha   fissato   l'udienza   di
trattazione in data 21 settembre 2016, pur tuttavia senza  rispettare
i  termini  fissati  dall'art.  41,  c.g.s.  FIGC  per  l'avviso   di
convocazione; 
        richiesti termini a difesa, l'udienza e' stata differita al 5
ottobre 2016, data in cui  e'  stata  pronunciata  la  decisione  con
pubblicazione del dispositivo, quando ormai risultava essere  spirato
il termine perentorio fissato dall'art. 34-bis, c.g.s. FIGC,  per  la
pronuncia di secondo grado. 
    L'art. 34-bis «Termini di estinzione del giudizio disciplinare  e
termini di durata degli altri giudizi», cit., statuisce, infatti,  al
comma 2, che «il termine per la pronuncia della decisione di  secondo
grado e' di sessanta giorni dalla data di proposizione del reclamo.» 
    Il successivo comma 5 stabilisce, poi, che «il corso dei  termini
di estinzione e' sospeso nelle  ipotesi  previste  dal  Codice  della
Giustizia Sportiva del CONI, fatta salva  la  facolta'  del  Collegio
giudicante   di   disporre   la   prosecuzione    del    procedimento
disciplinare.» 
    Le ipotesi di sospensione espressamente previste  dal  richiamato
art. 38, comma 5, c.g.s. CONI, sono, dunque, le seguenti: 
        «a) se per lo  stesso  fatto  e'  stata  esercitata  l'azione
penale, ovvero l'incolpato e' stato fermato o si trova  in  stato  di
custodia cautelare, riprendendo a decorrere dalla data in cui non  e'
piu' soggetta ad impugnazione la sentenza di non  luogo  a  procedere
ovvero sono divenuti irrevocabili la sentenza o il decreto penale  di
condanna, fermo che l'azione disciplinare e'  promossa  e  proseguita
indipendentemente dall'azione penale relativa al medesimo fatto; 
        b)   se   si   procede   ad   accertamenti   che   richiedono
indispensabilmente la collaborazione dell'incolpato, e per  tutto  il
tempo necessario; 
        c) se il procedimento disciplinare e'  rinviato  a  richiesta
dell'incolpato o del suo difensore o per impedimento dell'incolpato o
del suo difensore; 
        d) in caso di gravi impedimenti soggettivi dei componenti del
collegio «giudicante, per il  termine  strettamente  necessario  alla
sostituzione». 
    Nella specie, secondo prospettazione  di  parte  ricorrente,  non
essendosi  verificata  alcuna  delle  quattro  tassative  ipotesi  di
sospensione su citate, il procedimento disciplinare nei confronti del
sig. Dimitri avrebbe dovuto  essere  dichiarato  estinto,  stante  il
decorso del termine di giorni sessanta dalla data di proposizione del
reclamo. 
    Il Collegio di Garanzia, nella  decisione  gravata,  ha  ritenuto
all'opposto di non dover  dichiarare  l'estinzione  del  giudizio  in
quanto, sebbene la Corte Federale d'Appello avesse fissato  l'udienza
di trattazione prima dello spirare del termine perentorio, in data 21
settembre 2016, pur tuttavia la stessa udienza e' stata differita  al
5 ottobre 2016 su richiesta dell'incolpato, dovendosi dunque ritenere
il termine sospeso ai sensi dell'art. 38, comma 5, lettera c),  c.g.s
CONI, secondo cui «Il corso dei termini e' sospeso: (...)  c)  se  il
procedimento disciplinare e' rinviato a  richiesta  dell'incolpato  o
del  suo  difensore  o  per  impedimento  dell'incolpato  o  del  suo
difensore». 
    Il Collegio ha ritenuto, infatti, che «il  mancato  rispetto  del
termine di comparizione, previsto dall'art. 41, comma 1, c.g.s. FIGC,
puo' essere oggetto di specifica  eccezione,  ben  potendo  la  parte
processuale, interessata  alla  spedita  celebrazione  del  giudizio,
rinunciarvi, in tutto o in parte, anche implicitamente (e  cioe'  non
sollevando la relativa eccezione), senza che cio' si ripercuota sulla
legittimita' del giudizio.» 
    Per cui, secondo la prospettazione del giudice sportivo di ultima
istanza, non  avendo  l'incolpato  rinunciato  al  termine  a  difesa
connesso alla mancanza dei termini di preavviso,  cio'  avrebbe  reso
legittima da parte della Corte  d'appello  l'applicazione  delle  pur
tassative ipotesi di sospensione  del  termine  e  di  proroga  dello
stesso di cui all'art. 34-bis c.g.s. FIGC e 38  CGS  Coni,  con  cio'
dovendosi negare l'avvenuta estinzione del procedimento disciplinare. 
    Secondo parte ricorrente, invece, l'ipotesi  di  sospensione  del
termine  di  cui  all'art.  38,  comma  5,  lettera  c),   richiamato
erroneamente dal  Collegio  a  fondamento  della  propria  decisione,
riguarderebbe la diversa ipotesi in cui l'incolpato  chieda  un  mero
rinvio o a ragione di un proprio impedimento o del proprio difensore,
non anche il caso, come quello in  specie,  dove  il  rinvio  sarebbe
imposto da insopprimibili esigenze difensive originate  dall'avvenuto
mancato rispetto del termine di avviso di fissazione dell'udienza. 
    Nel caso di  specie,  inoltre,  non  potrebbe  neanche  invocarsi
l'ipotesi di sospensione concernente la pendenza del giudizio penale,
di cui all'art. 38, comma 5, lettera a, cit., perche' gli  organi  di
giustizia sportiva hanno comunque deciso di avviare  il  procedimento
disciplinare  nei  confronti  del  sig.   Dimitri,   senza   reputare
necessario attendere l'esito del procedimento penale. 
    3. Tutto cio' esposto, parte ricorrente domanda a questo  giudice
l'annullamento della decisione dell'organo di giustizia  sportiva  di
ultima istanza, previo incidente di costituzionalita' della norma  di
legge che preclude tale accertamento. 
    L'art. 2, legge n. 280/2003 riserva, infatti, al giudice sportivo
la disciplina delle questioni inerenti: 
        «a) l'osservanza e l'applicazione delle norme  regolamentari,
organizzative e  statutarie  dell'ordinamento  sportivo  nazionale  e
delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto  svolgimento
delle attivita' sportive; 
        b)  i  comportamenti  rilevanti  sul  piano  disciplinare   e
l'irrogazione ed applicazione delle  relative  sanzioni  disciplinari
sportive». 
    Il  legislatore  del  2003  ha  ritenuto  di  poter   considerare
irrilevanti, per l'ordinamento giuridico  nazionale  e,  quindi,  non
conoscibili dagli organi giurisdizionali,  le  controversie  relative
alle sanzioni disciplinari. 
    Sulla legittimita' della norma de qua, come noto, e'  intervenuta
la Corte costituzionale che, con sentenza n. 49 del  2011,  ha  fatto
salva la norma sulla base di una  interpretazione  costituzionalmente
orientata della normativa del 2003 tale per cui,  nelle  controversie
aventi ad oggetto  le  sanzioni  disciplinari,  ad  essere  preclusa,
innanzi al giudice statale, sarebbe la sola tutela  annullatoria,  ma
non anche quella risarcitoria. 
    Il ricorrente ritiene che l'intervento del giudice costituzionale
sia stato sostanzialmente manipolativo, e come  tale,  inammissibile,
perche'  contrario   all'intento   del   legislatore   di   riservare
integralmente al giudice sportivo  la  cognizione  sui  provvedimenti
disciplinari. 
    Per cui, se si ritiene, come il giudice delle leggi ha fatto, che
le sanzioni disciplinari sportive sono atte ad incidere su  posizioni
giuridicamente rilevanti per l'ordinamento statale la  norma  de  qua
dovrebbe  essere  dichiarata   costituzionalmente   illegittima   non
rispondendo, in alcun modo, al chiaro  intento  del  legislatore,  la
diversa opzione  di  ammettere  l'esperibilita'  dinanzi  al  giudice
statale della sola  tutela  risarcitoria  con  esclusione  di  quella
annullatoria. 
    In conclusione, parte ricorrente  chiede  che  sia  rimessa  alla
Corte costituzionale  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 2, comma 1, lettera  b),  decreto-legge  n.  220/2003,  per
contrasto con l'art. 24 cost., ai fini della cognizione della domanda
di annullamento del provvedimento disciplinare di  cui  in  causa  da
parte dell'adito giudice statale. 
    4. Si e' costituita in giudizio la  F.I.G.C.  eccependo,  in  via
preliminare il difetto di giurisdizione  del  giudice  amministrativo
stante la perdurante efficacia dei principi affermati dalla  sentenza
n. 49 del 2011. 
    La  Federazione  ha,  quindi,  eccepito  il  proprio  difetto  di
legittimazione passiva venendo in questione la decisione del Collegio
di  Garanzia,  organo  estraneo  alla  compagine  federale,   ed   ha
contestato, comunque, nel merito la fondatezza del gravame. 
    5. Si e' costituito in giudizio il C.O.N.I. eccependo  anch'esso,
in via preliminare, il difetto assoluto di giurisdizione del  giudice
statale  rispetto  alla  domanda  annullatoria,  nonche'  il  proprio
difetto di legittimazione passiva. 
    In via subordinata  ha  contestato,  infine,  la  fondatezza  del
gravame nel merito. 
    6. Alla Camera di consiglio  del  23  maggio  2017,  sull'accordo
delle parti, l'esame dell'istanza  cautelare  e'  stato  abbinato  al
merito. 
    7. All'esito della pubblica  udienza  del  18  luglio  2017,  con
ordinanza cautelare n.  3759/2017,  ravvisati  nella  fattispecie  in
esame sia ilfumus boni juris sia  il  periculum  in  mora,  e'  stata
accolta la domanda cautelare proposta fino alla  decisione  da  parte
della  Corte   costituzionale   della   questione   di   legittimita'
costituzionale che l'adito giudice ha, in fine, deciso  di  rimettere
con separata ordinanza. 
 
                               Diritto 
 
    1. Questo collegio, dunque, ritiene pregiudiziale  rispetto  alla
decisione sul merito del gravame rimettere alla Corte  costituzionale
la questione della legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma  1,
lettera b), decreto-legge n. 220/2003, sollevata da parte  ricorrente
nei propri motivi di ricorso,  ricorrendone  entrambi  i  presupposti
della rilevanza e della non manifesta infondatezza. 
    2. Come esposto in narrativa il sig. Dimitri, dirigente  sportivo
tesserato della F.I.G.C., impugna la sanzione dell'inibizione per tre
anni disposta in via definitiva  dal  Collegio  di  Garanzia  con  la
decisione n. 14 del  14  febbraio  2017,  chiedendone  l'annullamento
nonche' il risarcimento di tutti i danni patiti. 
    Sulla base di quanto statuito dalla  Corte  costituzionale  nella
decisione n. 49 del 2011, tanto la  Federazione  quanto  il  Comitato
Olimpico hanno eccepito  il  difetto  di  giurisdizione  del  giudice
amministrativo  sulla  domanda  caducatoria  avente  ad  oggetto   la
cognizione della sanzione disciplinare sportiva, residuando, in  capo
all'adito  giudice  la  sola  cognizione   sulla   connessa   domanda
risarcitoria, unitamente spiegata da parte ricorrente. 
    3.  Nell'affrontare  l'esame  dell'eccezione   del   difetto   di
giurisdizione sollevata dagli enti resistenti, il collegio  non  puo'
che prendere le mosse dal quadro normativo di riferimento cosi'  come
interpretato costantemente dalla giurisprudenza amministrativa,  alla
luce dei principi affermati dal giudice delle leggi nel 2011. 
    L'art. 1, decreto-legge 19 agosto 2003, n. 220,  come  convertito
in legge n. 17 ottobre 2003, n. 280, pone innanzitutto  due  principi
di ordine  generale:  il  principio  dell'autonomia  dell'ordinamento
sportivo nazionale (art.  1,  comma  1)  e  l'eccezione  al  suddetto
principio nei «casi di rilevanti per  l'ordinamento  giuridico  della
Repubblica  di  situazioni   giuridiche   soggettive   connesse   con
l'ordinamento sportivo» (art. 1, comma 2). 
    Statuisce,  quindi,  l'art.  2,  comma  1,  che   «e'   riservata
all'ordinamento sportivo la  disciplina  delle  questioni  aventi  ad
oggetto: 
        a) l'osservanza e l'applicazione delle  norme  regolamentari,
organizzative e  statutarie  dell'ordinamento  sportivo  nazionale  e
delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto  svolgimento
delle attivita' sportive; 
        b)  i  comportamenti  rilevanti  sul  piano  disciplinare   e
l'irrogazione ed applicazione delle  relative  sanzioni  disciplinari
sportive». 
    Al successivo comma 2, viene precisato che in siffatte materie  i
soggetti  dell'ordinamento  sportivo  hanno  l'onere  di  adire,  ove
vogliano censurare la  applicazione  delle  predette  sanzioni,  «gli
organi di giustizia dell'ordinamento sportivo», secondo le previsioni
dell'ordinamento settoriale di appartenenza. 
    L'art. 3, del decreto-legge  n.  220/2003  completa,  dunque,  il
quadro normativo di riferimento, individuando una triplice  forma  di
tutela giustiziale. 
    Una prima forma, limitata ai rapporti di  carattere  patrimoniale
tra societa' sportive, associazioni sportive, atleti  (e  tesserati),
e' demandata alla cognizione del giudice ordinario. 
    Una seconda, relativa alle questioni aventi oggetto le materie di
cui all'art. 2, comma 1, decreto-legge cit., nella quale, in linea di
principio, la tutela, stante l'irrilevanza per l'ordinamento generale
delle situazioni in ipotesi  violate  e  dei  rapporti  che  da  esse
possano sorgere, non e'  apprestata  da  organi  dello  Stato  ma  da
organismi  interni  all'ordinamento  sportivo,  secondo  uno   schema
proprio della cosiddetta «giustizia associativa». 
    Infine, una  terza  forma  di  tutela,  di  carattere  residuale,
rimessa  alla  giurisdizione  esclusiva  del  giudice  amministrativo
concernente «ogni altra  controversia  avente  ad  oggetto  atti  del
Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non
riservata agli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo ai sensi
dell'art. 2». 
    La Corte costituzionale come e' noto, nella decisione n. 49/2011,
e' stata chiamata a pronunciarsi  sulla  legittimita'  costituzionale
della riserva al giudice sportivo  della  competenza  a  decidere  le
controversie aventi ad  oggetto  sanzioni  disciplinari,  diverse  da
quelle  tecniche,  inflitte  ad  atleti,  tesserati,  associazioni  e
societa' sportive. 
    Questione identica, dunque, a quella  oggetto  della  fattispecie
che giunge oggi all'esame dell'adito giudice, in cui si discute della
legittimita' costituzionale della norma di cui all'art. 2,  comma  1,
lett. b), decreto-legge n. 220 cit. 
    Non si contestava allora ne' questo collegio ritiene contestabile
ora, giova precisare: 
        ne' la previsione della  cd.  pregiudiziale  sportiva,  posta
legittimamente a presidio dell'autonomia  dell'ordinamento  sportivo,
dalla norma dell'art. 3, comma 1, decreto-legge n. 220 cit.; 
        ne' la riserva al giudice sportivo, nella diversa ipotesi  di
cui all'art. 2, comma 1, lettera a), decreto-legge n. 220 cit., delle
controversie concernenti la  violazione  delle  norme  cd.  tecniche,
appartenendo  le  sanzioni   da   essa   derivanti   «all'irrilevante
giuridico», per il quale la  giustiziabilita'  non  puo'  che  essere
riservata agli organi della giustizia sportiva. 
    I dubbi  sui  rapporti  tra  ordinamento  sportivo  (e  giustizia
sportiva)  e  ordinamento  della  Repubblica  (e  giustizia  statale)
involgono, quindi,  unicamente  le  controversie  aventi  ad  oggetto
sanzioni disciplinari sportive. 
    Ebbene, la Corte costituzionale, con la decisione n. 49 del 2011,
ha rigettato la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2,
comma  1,  lettera   b),   cit.,   propugnandone   un'interpretazione
costituzionalmente  orientata,  sulla  base   dell'affermazione   dei
seguenti principi: 
        sebbene la tutela avverso gli  atti  con  cui  sono  irrogate
sanzioni  disciplinari  sia  rimessa  agli  organi  della   giustizia
sportiva, pur tuttavia,  «laddove  il  provvedimento  adottato  dalle
Federazioni  sportive  o  dal  C.O.N.I.  abbia  incidenza  anche   su
situazioni  giuridiche   soggettive   rilevanti   per   l'ordinamento
giuridico  statale»,  puo'  essere  proposta   dinanzi   al   giudice
amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva, la  domanda  volta
ad ottenere non la caducazione  dell'atto,  ma  solo  il  conseguente
risarcimento del danno, «non operando alcuna riserva a  favore  della
giustizia  sportiva,  innanzi  alla  quale  la  pretesa  risarcitoria
nemmeno puo' essere fatta valere»; 
        «il   Giudice   amministrativo   puo',   quindi,   conoscere,
nonostante la riserva a  favore  della  «giustizia  sportiva»,  delle
sanzioni disciplinari inflitte a societa', associazioni ed atleti, in
via incidentale e indiretta, al fine di  pronunciarsi  sulla  domanda
risarcitoria proposta dal destinatario della sanzione»; 
        nelle fattispecie in cui la situazione  soggettiva  abbia  la
consistenza di diritto soggettivo o  di  interesse  legittimo  «deve,
quindi,  ritenersi  che  la  esplicita   esclusione   della   diretta
giurisdizione sugli atti attraverso i quali sono  state  irrogate  le
sanzioni   disciplinari   -    posta    a    tutela    dell'autonomia
dell'ordinamento sportivo - non consente che sia altresi' esclusa  la
possibilita', per chi lamenti la lesione di una situazione soggettiva
giuridicamente rilevante,  di  agire  in  giudizio  per  ottenere  il
conseguente risarcimento del danno.»; 
        «E' sicuramente una forma di tutela, per equivalente, diversa
rispetto  a  quella   in   via   generale   attribuita   al   giudice
amministrativo (ed infatti  si  verte  in  materia  di  giurisdizione
esclusiva), ma non puo'  certo  affermarsi  che  la  mancanza  di  un
giudizio di annullamento  (che,  oltretutto,  difficilmente  potrebbe
produrre effetti ripristinatori, dato che in ogni caso  interverrebbe
dopo che sono stati esperiti tutti i rimedi  interni  alla  giustizia
sportiva, e che costituirebbe comunque, in questi  casi  meno  gravi,
una  forma  di  intromissione  non  armonica  rispetto  all'affermato
intendimento di tutelare  l'ordinamento  sportivo)  venga  a  violare
quanto previsto dall'art. 24 Cost. Nell'ambito  di  quella  forma  di
tutela  che  puo'  essere  definita  come  residuale  viene,  quindi,
individuata, sulla base  di  una  argomentata  interpretazione  della
normativa che disciplina la materia, una diversificata  modalita'  di
tutela giurisdizionale.» (Corte Cost., 11 febbraio 2011, n. 49). 
    L'odierno giudice  a  quo,  ad  una  piu'  attenta  e  rimeditata
disamina rispetto ai conformi  orientamenti  espressi  fino  ad  oggi
nelle  proprie   pronunce,   non   ritiene   di   poter   condividere
l'interpretazione dell'art. 2, comma 1, lettera b), decreto-legge  n.
220/2003, come dal giudice  costituzionale  avallata  nella  suddetta
decisione. 
    Ben consapevole che le sentenze  interpretative  di  rigetto  non
determinano, in linea generale, un vincolo  generale  per  i  giudici
comuni,  spiegando  effetti  limitati  al  caso  deciso,  deve  pero'
ritenersi,   seguendo   i   dettami   della    prevalente    dottrina
costituzionalistica, che da esse nasca tuttavia l'obbligo per tutti i
giudici di non fare applicazione  delle  disposizioni  che  ne  erano
oggetto  interpretandole  in  senso  diverso,  senza   prima   averne
sollevato questione di legittimita' costituzionale. 
    4. L'interpretazione della norma dell'art. 2,  comma  1,  lettera
b),  decreto-legge  n.   220/2003,   come   enunciata   dalla   Corte
costituzionale  nella   decisione   n.   49   del   2011,   presenta,
innanzitutto, profili di illegittimita'  costituzionale  di  indubbia
rilevanza per la decisione del caso in esame. 
    La norma de qua, cosi' come interpretata dal giudice delle leggi,
infatti,   precluderebbe   all'odierno   ricorrente    di    ottenere
l'annullamento della sanzione disciplinare lui irrogata,  sulla  base
dei motivi di illegittimita' in fatto esposti, che solo consentirebbe
l'immediato  ripristino  della   situazione   giuridica   soggettiva,
asseritamente lesa. 
    La sanzione disciplinare definitivamente irrogata dal Collegio di
Garanzia, nella misura di anni  tre  di  inibizione,  deve,  infatti,
ancora essere interamente scontata, ragion per  cui,  ravvisandone  i
presupposti e riservandosi con separata  ordinanza  di  rimettere  la
questione di legittimita' costituzionale al giudice delle  leggi,  la
sanzione e' stata da questo collegio sospesa in sede  cautelare  fino
alla decisione del giudice costituzionale. 
    5. La questione della legittimita'  costituzionale  dell'art.  2,
comma 1, lettera b, cit., poi, interpretato nel  senso  di  limitare,
nel caso di sanzioni disciplinari  sportive  incidenti  su  posizioni
giuridicamente rilevanti per  l'ordinamento  statale,  la  cognizione
diretta del giudice  statale  alla  sola  domanda  risarcitoria,  non
appare manifestamente infondata, nei termini che saranno  di  seguito
precisati. 
    5.1. L'interpretazione costituzionalmente offerta della norma  de
qua, presenta, per il giudice  remittente,  innanzitutto  profili  di
contrasto con gli artt. 103 e 113 Cost. 
    Tali  profili,  gia'  sollevati  con  l'ordinanza  collegiale  di
rimessionc n. 241/2010, sono stati  dal  giudice  costituzionale  del
2011 ritenuti «assorbiti» nella  censura  concernente  la  violazione
dell'art.  24  Cost.,  ovvero  entro  l'unico  profilo  con  cui   si
contestava il diniego, tout  court,  di  tutela  dinanzi  al  giudice
statale, e come tali non compiutamente esaminati. 
    Le sanzioni disciplinari sportive, come riconosciuto dallo stesso
giudice delle leggi, sono idonee ad incidere su posizioni  giuridiche
soggettivamente rilevanti, sia di interesse legittimo che di  diritto
soggettivo, come tali destinate a riverberare i  loro  effetti  nella
sfera giuridica del soggetto nell'ambito dell'ordinamento statale. 
    A fronte di una sanzione disciplinare, diretta  a  modificare  in
modo non sempre reversibile lo status del tesserato, infatti,  emerge
innanzitutto, la possibile compromissione della sua sfera individuale
con lesione di diritti patrimoniali, in primis, ma anche morali,  che
possono  indubbiamente   trovare   ristoro   nel   risarcimento   per
equivalente. 
    Cio' che, tuttavia, preme di sottolineare, e  che  non  e'  stato
oggetto della pronuncia del giudice costituzionale del 2011,  e'  che
indubbiamente l'irrogazione di  sanzioni  disciplinari  e'  idonea  a
ledere anche posizioni di interesse legittimo. 
    I provvedimenti disciplinari federali costituiscono  esplicazione
di  attivita'  amministrativa,  cosi'  come  le  decisioni  rese  dal
Collegio di Garanzia, organo di giustizia di ultimo grado,  istituito
presso il CONI in posizione di autonomia,  ma  pur  sempre  partecipe
della natura pubblicistica dell'ente entro cui e' istituito. 
    Le decisioni della giustizia federale e del Collegio di  Garanzia
presso il CONI sono, dunque, provvedimenti amministrativi. 
    Come,  infatti,  affermato   dalla   giurisprudenza,   gia'   con
riferimento alla disciplina previgente, e, in particolare, ai giudizi
della Camera di Conciliazione e arbitrato per  lo  sport,  agli  arti
conclusivi   di   tali   giudizi   deve   essere   ascritta    natura
amministrativa, e cio' in ragione, essenzialmente,  della  natura  di
interesse  legittimo  della  posizione  giuridica  azionata  e  della
incompromettibilita'  in  arbitri  di   tali   posizioni   giuridiche
soggettive (in tal senso Cons.  Stato,  sez.  VI,  n.  5025/2004,  n.
527/2006). 
    La  qualificazione  della  posizione  azionata  in   termini   di
interesse  legittimo  e'  costante  nella  giurisprudenza,   che   ha
rimarcato  che  le  Federazioni  Nazionali  Sportive  sono   soggetti
giuridici non soltanto privati,  ma  altresi',  pubblici,  in  virtu'
della natura dei poteri  ad  esse  attribuiti,  quale  il  potere  di
controllo sulle societa' sportive affiliate e  sulla  loro  attivita'
gestionale, secondo modalita' approvate dal  CONI  nell'esercizio  di
una potesta' amministrativa attribuita da una norma di legge  statale
e  tendente  alla  realizzazione   di   interessi   fondamentali   cd
istituzionali dell'attivita' sportiva. 
    Di conseguenza, gli atti posti in  essere  dalle  Federazioni  in
qualita' di  organi  del  C.O.N.I.,  e  da  quest'ultimo  ente,  sono
esplicazioni di poteri pubblici,  partecipano  alla  natura  pubblica
dello stesso C.O.N.I., ed hanno natura di atti amministrativi  (cosi,
da  ultimo,  Tribunale  amministrativo  regionale  Lazio,  I-ter,  10
novembre 2016, n. 1146; 23 gennaio 2017, n. 1163). 
    La  natura  amministrativa  delle  decisioni  degli   organi   di
giustizia sportiva e' stata, d'altra parte, gia' affermata da  questo
stesso Tribunale, che ha sottolineato che «le decisioni degli  organi
di   giustizia   sportiva...   sono   l'epilogo    di    procedimenti
amministrativi  (seppure  in   forma   giustiziale),   e   non   gia'
giurisdizionali si'  che  non  possono  ritenersi  presidiate   dalle
garanzie del processo.» (cosi',  Tribunale  amministrativo  regionale
Lazio, III-ter, 14 aprile 2016, n. 4391); per giungere  da  ultimo  a
ritenere che  «le  decisioni  degli  organi  di  giustizia  sportiva,
dunque,   devono   considerarsi   alla   stregua   di   provvedimenti
amministrativi  ogniqualvolta,   seppur   in   materia   disciplinare
riservata, ai sensi dell'art. 2, comma 1, lettera  b),  decreto-legge
n.  220  cit.,  all'ordinamento  sportivo,  vengano  ad  incidere  su
posizioni giuridiche soggettive rilevanti per l'ordinamento  statale,
che come tali,  non  possono  sfuggire  alla  tutela  giurisdizionale
statale  pena  la  lesione  del  fondamentale  diritto   di   difesa,
espressamente qualificato come inviolabile dall'art. 24 cost. (cosi',
ancora Tribunale amministrativo regionale Lazio,  I-ter,  23  gennaio
2017, n. 1163). 
    A fronte dell'esercizio del  potere  pubblicistico  degli  organi
giustiziali federali e del C.O.N.I., in conclusione, sta la posizione
giuridica soggettiva di interesse legittimo del soggetto al quale non
puo'  essere  negata   l'impugnazione   di   atti   e   provvedimenti
amministrativi dinanzi agli organi di giustizia amministrativa,  pena
la violazione degli artt. 103 e 113 Cost. 
    5.2. Permangono, inoltre, a giudizio di questo collegio, rispetto
all'esclusione della tutela caducatoria innanzi al  giudice  statale,
profili di contrasto con l'art. 24 Cost. letto in combinato  disposto
con gli stessi artt. 103 e 113 Cost. 
    La preclusione  della  tutela  annullatoria  dinanzi  al  giudice
amministrativo giunge, infatti, a ledere,  comunque,  il  diritto  di
difesa e il principio di effettivita' della tutela giurisdizionale. 
    Al di fuori di un'espressa scelta legislativa  (quale,  a  titolo
meramente esemplificativo, la scelta in sede  di  riforma  societaria
della sostituzione della tutela reale a  quella  risarcitoria  per  i
soci  di  minoranza  in  ipotesi  di   invalidita'   delle   delibere
assembleari) infatti, non puo'  ricavarsi  sulla  base  dei  principi
generali dell'ordinamento alcuna equipollenza  tra  forme  di  tutela
reale e forme di tutela risarcitoria. 
    La distinzione tra regole di invalidita'  e  regole  risarcitorie
resta marcata  e  non  puo'  considerarsi  superata  dalle  eccezioni
(espresse) rinvenibili nel nostro sistema. 
    Di   fronte   all'invalidita'   di   atti   amministrativi   sta,
innanzitutto, il rimedio caducatorio  che,  attraverso  la  rimozione
dell'atto viziato, consente la restaurazione dell'interesse violato. 
    Le  misure  sostitutive  di  carattere   risarcitorio,   la   cui
azionabilita' e' consentita  dal  nostro  ordinamento  anche  in  via
autonoma,  alla  luce  del  superamento   della   cd.   pregiudiziale
amministrativa,  non  possono  in  alcun  modo   essere   considerate
equipollenti. 
    La non equipollenza tra tutela reale e tutela risarcitoria emerge
in tutta evidenza solo considerando che: 
        con la  tutela  reale  il  soggetto  leso  dal  provvedimento
legittimo puo' ottenere il  rispristino  della  situazione  giuridica
soggettiva compromessa,  allorche',  come  nel  caso  delle  sanzioni
disciplinari in corso di applicazione, cio' sia ancora possibile; 
        la tutela risarcitoria importa, per il soggetto che la  vuole
azionare, un penetrante onere probatorio, ovvero l'onere  di  provare
il danno ingiusto  nonche'  tutti  gli  altri  elementi,  costituenti
l'illecito  civile,  mentre  la  tutela  reale  viene   accordata   a
prescindere  sia  dall'esistenza  di  un   danno   risarcibile   sia,
soprattutto, dall'indagine sull'elemento soggettivo dell'illecito; 
        lo strumento risarcitorio, sia per equivalente che  in  forma
specifica,  si  caratterizza  pur   sempre   per   la   soddisfazione
dell'interesse del  creditore  tramite  una  prestazione  diversa  da
quella originaria, allorquando il rimedio ripristinatorio consente di
ottenere  esattamente  il  soddisfacimento  del   bene   della   vita
originariamente leso. 
    L'interpretazione della norma dell'art. 2, comma 1,  lettera  b),
decreto-legge n. 220/2003, nel senso di ritenere  azionabile  dinanzi
al giudice  amministrativo,  avverso  provvedimenti  sanzionatori  in
materia  disciplinare  che  ledano  posizioni  giuridiche  soggettive
rilevanti per l'ordinamento statale, il  solo  rimedio  risarcitorio,
anche  ove  il  rimedio  ripristinatorio  sia  ancora  oggettivamente
esperibile,  si  risolve,   in   ultima   analisi   in   una   chiara
compromissione  del  diritto  di  difesa  nonche'  del  principio  di
effettivita'  della  tutela  giurisdizionale,  con   violazione   dei
principi costituzionali posti dagli artt. 24, 103 e 113 Cost. 
    6. Per le ragioni sopra esposte il Collegio solleva,  ritenendola
rilevante  e  non   manifestamente   infondata,   la   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 2, primo comma, lettera b),  e,
in parte qua, secondo comma, decreto-legge 19  agosto  2003  n.  220,
convertito  dalla legge  17  ottobre  2003   n.   280,   cosi'   come
interpretati dalla Corte costituzionale nella  sentenza  11  febbraio
2011, n. 49, «nel senso che laddove il provvedimento  adottato  dalle
Federazioni  sportive  o  dal  C.O.N.I.  abbia  incidenza  anche   su
situazioni  giuridiche   soggettive   rilevanti   per   l'ordinamento
giuridico statale, la domanda volta ad ottenere  non  la  caducazione
dell'atto, ma il conseguente risarcimento  del  danno,  debba  essere
proposta innanzi al giudice amministrativo, in sede di  giurisdizione
esclusiva», per contrasto con gli artt. 24, 103 e 113 Cost., laddove,
nelle controversie aventi ad oggetto sanzioni  disciplinari  sportive
incidenti su situazioni giuridicamente  rilevanti  per  l'ordinamento
statale, risulta essere cosi' sottratta al giudice amministrativo  la
cognizione  della  domanda  caducatoria,  con  palese  incidenza  sui
principi di pienezza ed effettivita' della tutela giurisdizionale. 
    7. Il giudizio deve pertanto essere sospeso, e gli atti trasmessi
alla Corte costituzionale. 
    8. Ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e in ordine alle
spese resta riservata alla decisione definitiva.